Che nel miele si trovino molti “zuccheri” (glucidi), è la scoperta dell’acqua calda. Il miele è stato, da tempi remoti e durante la nostra evoluzione di esseri Homo, una fonte ambita di dolcezza concentrata. Il mondo vegetale e anche quello animale producono glucidi: pensiamo alla frutta (l’uva o i datteri) o al latte come fonti di sostanze zuccherine. Ma la concentrazione nel miele è elevatissima, e parliamo infatti di una soluzione sovrasatura di glucidi, un caramello fluido, senza dimenticare la presenza di altre centinaia di molecole diverse!

Il miele di certe origini presenta però varie concentrazioni, tra loro variabili, di zuccheri: i principali sono il fruttosio e il glucosio, ma poi seguono decine di svariati zuccheri e tra questi “strane” molecole con nomi talvolta poco familiari. Melitosio, turanosio, erlosio, leucrosio…, e la lista è lunga(1), sono alcuni dei glucidi che si trovano nei mieli. Alcuni tra essi, come per esempio molecole lunghissime (oligosaccaridi) fatte da catene di fruttosio, non sembrano essere digeribili dal “nostro” intestino. Sì dal nostro, ma non dai lieviti e batteri che lo popolano e lo colonizzano dalla nascita, e che gareggiano tra loro per impedire che altri, estranei, li possano sostituire, e squilibrare il “loro” ambiente. Come spesso si è scritto, il nostro intestino modifica anche il nostro cervello. Mantenere equilibrato lo sviluppo della flora intestinale è essenziale.

Tra i vari zuccheri, alcuni sembrano provenire dalla flora che viene bottinata dalle api, dove ogni fiore ha una tavolozza di colori, profumi e nettari, ma anche stratagemmi, per attirare le api e premiarle con il dono della loro dolcezza. Altri no. E allora i Ricercatori si sono domandati da dove potessero provenire.

Tra questi il trealulosio, un glucide costituito da fruttosio e glucosio, come il famoso saccarosio (lo zucchero di cucina), ma tra loro legati in modo differente (1-O-α-D-Glucopiranosil-D-fruttosio). È uno zucchero presente nei mieli di melata, cioè non di origine floreale, e in modo particolare in quello costoso australiano, prodotto dalle locali api senza pungiglione (Tetragonula carbonaria), belle nere come descrive il nome scientifico.

Il bello è che queste api, alimentate da una soluzione di glucosio, fruttosio e saccarosio, producono questo zucchero (64-72%) e, quindi non proviene dalla flora o dalle piccole afidi che potrebbero essere “munte” dalle api che cercano fonti dolci.

Così un gruppo di Ricercatori dell’Università del Queensland, supportati da colleghi del Queensland Health Forensic and Scientific Services, hanno scoperto (2) che è nell’intestino dell’ape la fonte della trasformazione degli zuccheri floreali in trealulosio, in particolare dai fiori contenenti molto saccarosio (macadamia, avocado e licys), zucchero scarsamente presente nel miele.

Questo strano glucide è talvolta rintracciabile in grande quantità nel miele prodotto dalle api senza pungiglione, e questa caratteristica ha reso il miele molto ricercato per le doti medicinali tra gli Indigeni.

In effetti, rispetto ai mieli normali, l’assorbimento di questo zucchero sembra più lenta, e quindi si riesce a limitare il picco glicemico.

La produzione “industriale” del trealulosio con quelle api, a partire dallo zucchero di cucina, però non è da considerare saggio e corretto. Si otterrebbe un “falso miele”, facile da scoprire come adulterazione, disorganico nella composizione e nei sapori. Lo ammettono gli stessi Ricercatori.

a cura del dr. Piero Milella

FONTI:

  1. M. Battino et Al. “Honey as a Source of Dietary Antioxidants: Strucures, Bioavailability and Evidence of Protective Effects Against Human Chronic Diseases” Curr. Med. Chem. 2013
  2. Hungerford NL, Zhang J, et Al “Feeding Sugars to Stingless Bees: Identifying the Origin of Trehalulose-Rich Honey Composition”. J Agric Food Chem. 2021